mercoledì 31 luglio 2013


CAPITOLO 2°







La curiosità di conoscere quanto prima ciò di cui il Viandante avrebbe parlato, spinse gli uomini del villaggio ad accorrere alla locanda del Gallo prima ancora dell’ora prestabilita. Arrivarono tutti quando il crepuscolo aveva appena ceduto il posto alla sera; gli abitanti del centro prima, quelli dei ca solari più lontani subito dopo. A mano a mano che entravano, l’oste, secondo l’ordine ricevuto, li faceva accomodare in una stanza a piano terra, un po’ appartata dagli altri locali, messa a disposizione appunto per la circostanza. L’aveva chiesta con insistenza il Viandante, volendo evitare che eventuali estranei, con o senza intenzione, avessero modo di ascoltare le segretissime notizie che egli portava da Naroviel. Quella sera, nella fumosa stanza d’osteria, tutti gli uomini parevano di buon umore e si rivelarono subito più ciarlieri del solito. Non erano frequenti le occasioni per trascorrere una se rata diversa dal solito. Le sempre appetite notizie, provenienti dall’esterno, arrivavano a Valdelprato saltuariamente, troppo saltuariamente. Erano per lo più portate dai mercanti del po sto che, di ritorno dai mercati della capitale o da altre città lontane, trovavano in un modo o nell’altro qualcosa da raccontare. Forse una fonte di novità più richiesta, anche se meno attendi bile, era data dai numerosi vagabondi di passaggio. Per un pezzo di pane o una ciotola di minestra, biascicavano le magre noti zie di cui erano a conoscenza, gonfiandole o distorcendone la verità, ma accompagnandole sempre con toni di voce inquietanti e misteriosi per sortire maggior effetto e per ottenere in cambio qualcosa di più. Salvo in rarissime occasioni, quindi, sia gli uni che gli altri possedevano roba di poco conto da buttare in pasto a gente che viveva fuori del mondo e perciò sempre affamata di novità; roba che poteva catturare l’interesse di chi ascoltava sì e no per alcuni minuti, lasciando poco dopo ognuno nella sua solita, iniziale indifferenza. Ma quelle volte in cui il Viandante metteva piede in paese, si era sicuri che giungevano puntuali le grosse notizie. E quanto usciva dalla bocca di quell’uomo, si poteva star certi, era inconfutabile verità.







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Tutti gli uomini di Valdelprato erano intenti in queste loro rumorose considerazioni, quando la porta della stanza si spalancò d’improvviso. Con passo svelto e sicuro il Viandante fece il suo ingresso. Romidor notò subito che l’uomo stanco di poche ore prima, era ritornato di nuovo il personaggio altero di sempre; il misterioso essere che incuteva alla gente rispetto e soggezione. Di colpo la stanza cadde in un profondo silenzio. Gli sguardi di tutti fissarono attenti la figura appena apparsa. Erano lì che aspettavano pronti a bere ogni parola che fosse uscita da quelle labbra. E il suono della voce baritonale dell’ospite non si fece attendere. «Signori!» Incominciò. E prese subito fiato. Era la prima volta che quell’uomo, sempre parco di inutili vocaboli, si rivolgeva a loro con un simile termine. Quando mai infatti essi avevano udito il Viandante aprire i discorsi con un così roboante aggettivo? Qualcosa di molto, molto importante doveva bollire in pentola. Il silenzio, già profondo, si fece totale. Una mosca in volo sarebbe stata avvertita anche dal più sordo dei presenti. «Signori! — riprese — Quanto udrete tra poco dovrà rimanere segreto nella maniera più assoluta. Dopo che avrete lasciato questo luogo, non una parola di quanto si sarà detto qui dovrà uscire con voi. Eventi di estrema gravità stanno sopraggiungendo e sembra abbiano tutte le intenzioni di abbattersi assai presto e con violenza sulle nostre contrade. Alcuni di essi, anzi, sono già in atto e vi assicuro che interessano tutti noi da molto vicino.» Ecco, le appena ventilate supposizioni stavano diventando certezza. «Sono partito da Naroviel parecchi giorni or sono, proseguì l’uomo dopo una breve, seconda pausa — inviato dal Gran Cavaliere in persona con lo scopo di portarvi un suo messaggio e un suo volere. Malauguratamente, durante il viaggio, fui assalito da un gruppetto di Smull. La furibonda lotta che sostenni non valse a sottrarmi a quegli infernali cavalieri della notte. Venni disarcionato e fatto prigioniero. Avevano ricevuto l’ordine, suppongo, di trascinarmi a Nug-Rhor, macabro covo del loro Signore. Devo la mia presenza qui, in mezzo a voi, al coraggio e all’intraprendenza di alcuni Silverleni, i quali riuscirono a farmi fuggire.







12 Purtroppo una simile disavventura, oltre a complicare le cose, ritarda di tre giorni il mio arrivo a Valdelprato e voglia Iddio che questa disgraziatissima perdita di tempo non si riveli fatale». Donanfrel, quella sera, pareva solleticato più che mai dal la brama di conoscere le misteriose notizie che gli adulti del villaggio avrebbero ascoltato presso la locanda. Sapeva del divieto categorico, posto dal Viandante, a che nessun altro, all’infuori degli uomini, partecipasse all'assemblea. Ma con i suoi diciassette anni, forse poteva accampare, sia pur timidamente, il diritto di essere considerato ormai un uomo e accettato come tale. Valeva quindi la pena farsi avanti e proporre le sue giustificate esigenze. «No!» Fu la secca risposta di Romidor, buttata lì prima ancora che il figlio avesse finito di formulare la richiesta. «Il Viandante è stato molto chiaro al riguardo. L’hai sentito tu stesso del resto: solo gli uomini!» «E io chi sono? Un bambino forse?» Protestò incerto Donanfrel. «Non hai ancora diciassette anni.»«E ti sembrano pochi? Ma poi, cos’è tutto questo mistero e questa ingiusta pretesa di parlare solo con gli adulti? Sta crollando il mondo, per caso?» «Che cosa stia succedendo non lo so e non l’immagino neppure, ma quell’uomo deve avere i suoi buoni motivi per aver insistito su quel suo ordine. E ora cambia argomento se vuoi che ti dia ancora ascolto.» Donanfrel comprese che sarebbe stato fiato sprecato ostinarsi ancora su quella strada. Le sbrigative ma categoriche argomentazioni, portate dal padre, non davano spazio ad alcuna speranza di poterla spuntare. Ma il desiderio di conoscere ciò che in gran segreto si sarebbe detto alla locanda non sembrava volersi assopire. Diveniva sempre più insistente, più determinato. «Il desiderio aguzza la mente!» Era solito rammentargli nonno Ilovisl, anche se lo diceva per altri motivi. Ma Donanfrel ebbe modo di sperimentare in quella circostanza almeno la validità di un simile detto. «E va bene! — Rispose con aria falsamente rassegnata. — Mi accontenterò di farmi raccontare tutto, domani dal nonno». « Né domani, né mai!» Fu la risposta finale di Romidor, che evidentemente non aveva afferrato l'ironica falsa rassegnazione del figlio.







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Come era sua consuetudine, Donanfrel salutò tutti prima di chiudersi in camera, convinto ormai, che, se suo padre e il Viandante non volevano che egli partecipasse alla riunione, era cosa che non lo interessava più. Egli sarebbe stato presente ugualmente all’assemblea, agendo di sua iniziativa. E nessuno avrebbe per forza dovuto venire a conoscenza della sua non invitata presenza. Attese con pazienza che padre e nonno fossero usciti, poi, quando il silenzio della casa l’assicurò che tutti gli altri si erano coricati, dette il via al suo piano d’azione. Si rivestì in fretta. Con la massima attenzione a non provocare alcun rumore, aprì la finestra. Senza rendersene conto, stava persino trattenendo il fiato, tanto era il timore di svegliare qualcuno della famiglia. Scavalcò il davanzale e si lasciò cadere. Un breve salto nel vuoto e fu a terra. «Molto bene! E ora a noi due, Viandante!» Si disse quasi a farsi coraggio. Prese a camminare quatto quatto, guardandosi attorno furtivamente, come un ladro di galline che teme di venire scoperto con le mani nel sacco. La notte era silenziosa, nera come la pece e un’arietta gelida sferzava la faccia del ragazzo. Sibilando sommessa, scivolava via subito, quasi fosse richiamata in fretta altrove. Oltre a quella fredda compagnia, certe strane sensazioni presero a ronzare attorno alla mente di Donanfrel e ad infastidirla; sensazioni spiacevoli che stavano incrinando la sua precedente, assoluta sicurezza in ciò che si accingeva a compiere. Forse un pizzico di paura voleva insinuarsi maligna dentro di lui per tentare di mandare all’aria i suoi piani? «No, questo mai!» Si disse risoluto il ragazzo. Sapeva di poter contare ancora sul suo coraggio e sapeva anche non essere assolutamente il caso di dare eccessiva importanza all’insistente turbamento che ora lo stava mettendo proprio a disagio. Purtroppo, e Donanfrel se ne rese conto subito, non sempre la razionalità era in grado di prevalere sui sentimenti e in quel momento egli sentiva d’aver paura, checché ne dicesse la ragione. Più avanzava e meno la sicurezza iniziale lo sorreggeva. Giunse addirittura al punto di provare una gran voglia di tornare indietro a ricacciarsi tra le coperte, certamente più sicure e più desiderabili di quella inquietante passeggiata notturna. E avrebbe senz’altro assecondato una simile impellente esigenza se la curiosità non avesse prevalso ancora, sia pure per poco, sulla paura. Certo ora dava di sé un’immagine assai poco dignitosa, anche se non c’era nessuno che




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lo vedeva tremare a quel modo!... Ma per la miseria! Era o non era un uomo? E se lo era, come egli stesso aveva tenuto ad affermare, perché lasciarsi prendere la mano da puerili, immotivate angosce? Tanto più che quella strada egli la conosceva come le sue tasche. Non aveva motivo di temerla. Durante il giorno vi correva su e giù cento volte almeno. Ma proprio qui stava il punto: percorrerla di giorno faceva un effetto, anzi non faceva alcun effetto, ma di notte!... Ogni albero, ogni cespuglio assumevano nell’oscurità l’aspetto di foschi individui, di bieche figure pronti a saltargli addosso. Dietro gli angoli dei primi casolari che precedevano il villaggio vedeva in agguato chissà quali terribili ombre. Erano lì a scrutarlo minacciose dentro quel maledetto, fittissimo buio. Finalmente, tra i neri muri delle altre abitazioni, scorse le finestre illuminate della locanda. Allungò il passo sentendosi già rincuorato alla vista della luce che, per quanto fioca, dava un gradevole senso di sicurezza. Quando fu abbastanza vicino da vedere le sagome di alcuni uomini muoversi all’interno delle finestre, si fece più cauto. Non impiegò molto ad individuare la stanza che gli interessava. Muovendosi silenzioso come una fauna, scavalcò la bassa staccionata che separava l’orto dell’oste dalla stradina. Ecco, ora poteva vedere meglio quanto succedeva nella saletta, solo non riusciva ancora a percepire suoni o rumori provenienti dall’interno di essa. Avanzò allora, quasi in punta di piedi, fin sotto la finestra più vicina. Gettò dentro con molta cautela una prima occhiata e lì, tra un densa nube di fumo, intravide il gruppo di uomini. Erano attaccati alle loro consunte pipe e pendevano letteralmente dalle labbra del Viandante. Con una buona dose di paura, ma senza eccessive altre difficoltà, era riuscito a concludere felicemente la prima parte del suo ardito piano. Ora anche se il cuore gli martellava in gola maledettamente, per nessuna ragione al mondo se ne sarebbe andato da lì prima di aver captato tutto il possibile. Udì, nel più totale silenzio, la bassa voce dell’uomo di Naroviel che raccontava come, assalito dai terribili Smull, fosse stato liberato da alcuni esseri sconosciuti, chiamati Silverleni. Il ragazzo non ricordò d’aver sentito altre volte pronunciare quel l’ultimo nome, mentre all’udire il primo si sentì accapponare la pelle. In alcune storie infatti, raccontategli dal nonno, gli erano già stati descritti quegli orribili esseri provenienti dal regno del Nero Signore. Molti anni addietro erano calati da oltre i monti Pliavel e




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avevano seminato il terrore e la morte nelle contrade delle Verdi Terre di Sopra. Ma da queste sue personali considerazioni il giovane si staccò subito per non perdere il filo del discorso che il Viandante stava portando avanti, tanto più che era necessario concentrarsi intensamente e tendere al massimo gli orecchi per capire le parole, quasi sussurrate, che uscivano da lì dentro. Benché totalmente preso dall’interesse di carpire la segreta conversazione, Donanfrel avvertì improvvisa una nuova, strana sensazione. Qualcosa ad un tratto era cambiato nell’aria; qualcosa che ebbe il potere di trasmettergli una cupa inquietudine. La sgradevole sensazione si fece subito violenta e prese ad opprimergli l’animo intensamente e l’inquietudine si trasformò in cieca paura. Donanfrel si senti minacciosamente osservato. Forse l’angoscioso stato d’animo altro non era che la conseguenza di puerili suggestioni, frutto solo delle circostanze, ma se anche si trattava di una semplice immaginazione, egli la provava intensamente e la soffriva in tutta la sua notevole sgradevolezza. Tese ancor più gli orecchi già attenti al più piccolo rumore che poteva provenirgli dalle spalle. Ora non aveva più dubbi: qualcuno dietro di lui era in agguato e lo scrutava malefico. Ne percepiva chiaramente il lento, rauco ansimare, come il respiro di un grosso animale. Rabbrividendo, Donanfrel rimase immobile, assolutamente incapace di reagire. Che doveva fare? Urlare? Fuggire? Sentì il terrore paralizzarlo e togliergli ogni energia. Eppure doveva fare qualcosa! E l’unica cosa da fare in quel momento era girarsi e rendersi conto visivamente di ciò che stava succedendo lì dietro, dentro quel buio. Facendo violenza a se stesso e vincendo la mortale paura che gli bloccava ogni muscolo del corpo, Donanfrel si voltò di scatto. Ciò che vide in quell’istante lo pietrificò. Una spaventosa figura gli stava alle spalle e lo fissava con inesprimibile odio. Era avvolta in un mantello, nero anch'esso, visto che non si distingueva dal buio. Probabilmente lungo fino a terra, la sua sommità sembrava reggere una lugubre testa bianchiccia, molto simile ma più raccapricciante di un teschio umano. Dalle profonde occhiaie due carboni accesi lo stavano scrutando orribili, spaventosi... Era uno Smull! La spettrale creatura doveva essere giunta lì, in assoluto silenzio, poco dopo di lui e, vistasi scoperta, da sotto il mantello sguainò una lunga spada.




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Tra sinistri bagliori, una lama incandescente si levò per colpire. Donanfrel non poté far altro che emettere un lungo urlo strozzato per esprimere tutto il terrore terrore e il paralizzante raccapriccio. Immediatamente dopo cadde a terra privo di sensi. Lo Smull sembrò tradire un attimo di esitazione. Si guardò tutt’attorno, forse per assicurarsi che nessuno avesse assistito alla brevissima sequenza. Quell'indecisione valse a salvare la vita al ragazzo. Era troppo tardi ormai per toglierlo di mezzo. La creatura notturna rinfoderò la spada e scivolò via silenziosa com’era arrivata, appena in tempo per non essere scorta. Interrotta bruscamente la conversazione dall’improvviso grido, alcuni uomini s’erano precipitati alle finestre per rendersi conto di cosa fosse successo. Ma lì fuori tutto sembrava ripiombato nella più assoluta immobilità. Il silenzio era ritornato a regnare sovrano in compagnia del buio. Non fu nemmeno possibile scorgere il corpo di Donanfrel che, caduto a terra, giaceva immobile proprio sotto il davanzale. Per qualche istante furono tesi gli orecchi e si scrutò nell’oscurità, nel vano tentativo di intravvedere qualcosa o qualcuno che fosse una risposta allo strano grido. Ma non fu scorto né sentito nulla. L’ultimo uomo, attardatosi alla finestra, si decise perciò di richiudere e ritornare all’interrotta conversazione, sollecitato dai compagni, ai quali evidentemente interessava il discorso del Viandante più di tutto il resto. «E' necessario — proseguì l’uomo di Naroviel quando tutti ebbero ripreso il loro posto — che, prima di trasmettervi l’ordine di Ildaran, risalga a monte degli avvenimenti, in modo che possiate rendervi conto della necessità di agire tempestivamente e di intraprendere ogni vostra futura azione con assoluta prudenza. Inoltre vi sarà indispensabile conoscere l’intera vicenda, fin dalle sue origini, per farvi un quadro completo della situazione, dal momento che ne sarete chiamati in causa direttamente. Gli avvenimenti in questione sono iniziati da poco, ma ho le mie buone ragioni per ritenere che essi avranno vita lunga e lasceranno strascichi ancor più lunghi.

Due lune piene or sono giunse a Naroviel un messaggero. Era stato inviato dal Supremo Indovino. Data la foga, sembrava dover recare notizie della massima urgenza. E lo erano infatti. Il suo mandante invitava il Gran Cavaliere, Signore delle Verdi Terre, a raggiungere




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quanto prima Altetorri dei Venti di Roccastellata. Sono queste, per chi non le conoscesse, le dimore abituali del Signore della magia. Poste a ovest del lago Bonacel, esse si trovano arroccate su una vetta delle Montagne Nubifore. Non era suo compito, riferì il messaggero, rendere noto il motivo di tale pressante invito. Esso sarebbe stato svelato ad arrivo avvenuto di Ildaran presso Altetorri. Sapesse comunque il Gran Cavaliere che dalle conseguenze di quel sommo consesso sarebbero dipese le sorti di tutti i popoli delle Terre Conosciute. Non era assolutamente il caso di prendere alla leggera un simile messaggio, soprattutto sapendo da chi esso era stato in viato, per cui Ildaran portò a termine in fretta alcuni impegni della massima urgenza e il giorno dopo fu in grado di mettersi in marcia alla volta delle Montagne Nubifore. Non appena mise piede ad Altetorri, venne condotto nel salone degli incantesimi. Lì trovò il Sommo Indovino già attorniato da alcune persone. L’anziano signore della magia stava seduto sul suo alto seggio nero, trapuntato di pallide stelle argentee. Immobile e assorto in astrusi pensieri, sembrava attendere proprio l’arrivo del responsabile delle Verdi Terre, per poter dare inizio alla misteriosa seduta. Il suo aspetto, un tempo maestoso e possente, era di molto invecchiato. Lì, sul suo trono che l’aveva visto grande fra i più grandi indovini di tutte le Terre Conosciute, si presentava in quel momento decadente, quasi esausto. Una lunga barba serica gli scendeva fin sul grembo ad accentuare, assieme alle profonde rughe del viso, i segni della vecchiaia. Ma gli occhi, dallo sguardo intenso, profondi e quasi ricoperti dalle folte sopracciglia e il prominente naso aquilino non gli avevano fatto perdere la severità e il vigore magnetico di chi sa dominare l’arcano, di chi può scrutare l’ignoto. Il Signore delle Verdi Terre fu invitato a sedere su di uno scanno, posto proprio di fronte al Supremo Indovino. Alla sua destra era l’esile figura di Isarin, Regina delle Terre a Ponente, tutta compunta e chiusa in se stessa. Costei rispose al deferente saluto del Gran Cavaliere con un cenno del capo appena percettibile. Più a destra si trovava Duxpelago dalla larga faccia rubiconda e godereccia, capo delle genti del Sud. Ma l’attenzione di Ildaran venne subito catturata dal personaggio che gli stava a sinistra. Torvo sul proprio scanno, sedeva l’eterno nemico delle Verdi Terre: il malefico Orfur, onnipotente Signore di Sologun. Chiuso in




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una scura armatura, ricoperta a sua volta da un ampio mantello nero, egli sprigionava, con quel suo sguardo bieco, una ferocia e un tale intenso odio verso tutto e verso tutti, da sembrare persino palpabili. Gli occhi crudeli, accesi come ardenti tizzoni, emanavano un potere ipnotico talmente intenso da annientare il volere e rendere succubi le menti degli umani. A guardarlo sembrava proprio vero quanto si andava dicendo sul suo conto: di umano non aveva quasi niente, forse nemmeno la propria origine. Mentre l’oscuro essere sedeva truce in mezzo agli altri grandi responsabili delle Terre Conosciute, le sue ossute mani uscivano di tanto in tanto, nervose, da sotto il mantello. All’indice destro era infilato un grosso anello, forgiato a forma di teschio. Quello era il suo emblema; quello era il suo potere; quello il suo volere. «Ci siete finalmente. — Iniziò il Supremo Indovino. — I signori di Tutte le Terre Conosciute sono riuniti al completo. Per innumerevoli anni è stato atteso questo momento. Ho dovuto tessere con pazienza e tra indicibili difficoltà il complicatissimo arazzo che parla delle vostre terre; di tutte le terre. Ho forgiato nelle solitudine e in profondissime contemplazioni la lunga catena che costituisce le vicende passate, presenti e future di tutti i vostri popoli. L’ultimo anello è finalmente congiunto. Ora, sono maturati i tempi in cui i vostri destini e i destini delle vostre genti vi saranno svelati. Ma lo saranno solo parzialmente, perché molta parte di tali destini sarete voi stessi a modellarla, con le vostre mani, con le vostre menti, con le vostre azioni. La tua gente, Duxpelago, dedita anima e corpo alle sottili arti del commercio, non è stata scelta dal Volere Supremo per plasmare la propria e l’altrui sorte. Il commercio, da voi scelto come scopo della vostra esistenza, è sì importante e necessario per l’evolversi del genere umano, ma rimane un ideale troppo basso e ben misero fine per pretendere che da esso dipenda il futuro del mondo, anche se un giorno le apparenze potranno affermare il contrario. Continuate dunque a solcare fiumi e mari, ad attraversare monti e pianure, nella ricerca sempre più pressante di nuovi e più pingui mercati. Altri, per voi, tracceranno il vostro avvenire. E tu, splendida Signora del grande popolo dei Laisfel, finché rimarrai chiusa nella tua superba alterigia, sarai causa di molte sofferenze. A torto ti senti estranea e al di sopra di quelle che tu consideri spregevoli passioni, potente Isarin. Non sarai nemmeno tu l’artefice delle sorti che gravano sul futuro del genere umano;




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almeno non la tua persona fisica. Tuttavia la condotta che assumerai avrà un peso determinante sui piatti della bilancia del Destino. Solo se riuscirai a squarciare il diaframma dell'altero isolamento che ti separa dal mondo esterno e che da millenni circonda te e la tua antica stirpe, potrai realizzare in pieno la sacra regalità di cui sei stata investita. Con la tua progenie darai così l’indispensabile contributo alla nuova umanità. Questa nuova umanità -continuò il Supremo Indovino rivolgendosi a Ildaran -trarrà origine non da te direttamente, ma da un rampollo della tua gente, Signore delle Verdi Terre, oppure da te e dalla tua oscura potenza, Signore di Sologun. -Disse ancora volgendo il capo verso il tetro Orfur. -Se dal l’uno o dall’altro, sarete voi stessi a deciderlo. La gestazione ditale risposta esigerà tempi lunghi, durante i quali funesti avvenimenti turberanno molti popoli. Se alla fine sarà la tua forza a prevalere, nobile Ildaran, il giovane della tua terra, designato dal Volere Supremo a succederti, dovrà scegliere la sua compagna. Una fanciulla dalla chioma bruna, dalla carnagione candida, dagli occhi riflettenti il cielo, apertisi alla prima ora di sedici primavere or sono, sarà accanto, per l’intera sua esistenza, al nuovo signore di Tutte le Terre Conosciute. Dalla loro unione avranno vita i nuovi Uomini. Essi saranno diversi da voi, non tanto fisicamente, quando nello spirito e nel cuore. A loro sarà concesso di divenire dominatori incontrastati del mondo. Tutto questo avverrà qualora tu non riesca a impedirlo, tremendo Signore di Sologun. Altrimenti, sarà il tuo possente spirito malefico a dominare ogni cosa”. Il grande maestro dell’arcano tacque e tornò ad abbassare la testa. Il silenzio però non si protrasse a lungo, perché Orfur si alzò dal proprio scanno e la sua voce fu udita risuonare con arroganza nella sala. «Da che cosa si riconosceranno, vecchio, i due che, secondo le tue previsioni, potrebbero un giorno dominare il mondo?» Il Supremo Indovino, richiamato agli interessi che aleggiavano dentro quei muri avvolti di mistero, fece rivedere i profondi occhi e lentamente rispose: «Si sta concludendo la lunga parabola della mia esistenza terrena. Dopo quest’ultima rivelazione i miei poteri ritorneranno là da dove uscirono, per essere messi a disposizioni di un altro che già sta aspettando.




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Sappi, astuto Orfur, e sappiano tutti gli altri assieme a te, che il giovane dominatore del mondo sarà colui che riuscirà a dividere lo spirito malefico dal tuo corpo, spezzando ogni tuo potere e la tua stessa vita. La sua compagna si rivelerà colei sul cui capo la sacra corona di Diadrel brillerà di una vivissima luce adamantina. Altro non chiedermi. Nulla più mi è concesso di conoscere». «Ancora per poco essi godranno della luce del sole!» Li sibilò con sordido rancore quei minacciosi propositi. Dopodiché Orfur si avvolse nel nero mantello e uscì dalla sala senza più degnare di uno sguardo i presenti. Poco dopo stava già percorrendo la strada che lo doveva portare a Nug-Rhor. «Il tempo è la cosa più preziosa di cui un uomo possa disporre e se fossi in te, Ildaran, non ne perderei neanche un frammento. -Disse in un sussurro il Supremo Indovino.- Va, raccogli le fanciulle descritte e mettile al sicuro. Tra di esse potrebbe trovarsi la prescelta e l’astuto Orfur sta già predisponendo i suoi foschi piani per precederti. Va dunque! Nei momenti più difficili troverai al tuo fianco e sarà con i tuoi colui che gradualmente sta assimilando i miei poteri». «Sommo conoscitore del tempo, -prese a dire Ildaran- le sconcertanti rivelazioni, udite oggi, non tarderanno a mettere a soqquadro Tutte le Terre Conosciute. Come conseguenza logica di quanto è stato da te detto, un tremendo scontro si appressa inevitabile. E la malefica potenza di Orfur è grande, spaventosamente grande. Essa va oltre i semplici limiti umani. Ed io ho paura. Tremo nel pensarmelo dì fronte come nemico con il quale disputare le sorti del mio popolo. Non provo vergogna di rivelare la profonda angoscia che turba il mio animo. Forse tutto questo non si sarebbe reso necessario se tu l’avessi tenuto nascosto. Forse Orfur avrebbe continuato a ringhiare minaccioso, limitandosi a farlo restando al di là dei monti Pliavel. Perché allora queste tue spaventose rivelazioni? Perché questa terribile realtà, impostaci con tanta crudezza? Perché hai voluto tutto ciò, Supremo Indovino?» «Perché tu comandi e governi?» Fu la risposta del gran vecchio. «E perché i tuoi guerrieri obbediscono agli ordini? Per ché un ciuffo d’erba in un’arida pietraia o un ciottolo in un sentiero? Io non li conosco questi «perché» e non li conosci nemmeno tu, né chiunque altro li conosce, ma essi ci sono, esistono. Ogni vivente, ogni cosa, per quanto inutile possa sembrare, ha il suo perché». Il




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mio è la necessità di scrutare il futuro e rivelarlo. E non chiedermi nemmeno perché lo faccio. Non ne ho la vera, profonda risposta. Essa non rientra nel mio conoscere. Forse i «perché» ultimi di tutte le cose sono il «perché» di qualcun altro, sicuramente al di sopra, in ogni senso i tutti noi. Era preferibile che la situazione rimanesse come stava, tu dici? Non dovrei essere io a disilluderti sulle minacce finora non attuate da Orfur. Tu dimentichi che io ho solamente rivelato ciò che succederà, che tu o chiunque altro l’aveste saputo o meno. Non sono io a dare una direzione piuttosto che un’altra al destino delle genti. Io la posso prevede. Tutto qui. E debbo aggiungere che solo Orfur, qualora fossi stato zitto, avrebbe conosciuto il futuro, perché egli stesso da tempo se lo sta preparando, a proprio vantaggio, imbastendo oscure trame, tessendo il suo potere nel male e nella perfidia. Le mie rivelazioni non hanno fatto altro che svelare a tutti i già programmati piani dell’oscuro signore di Nug-Rhor e a rimettere lui nella vostra stessa posizione, scalzandolo da quella precedente di vantaggio che egli s’era arbitrariamente creato. Ma ora va, Ildaran! Non indugiamo oltre, questa è l’ora in cui le parole non contano più nulla». Non appena raggiunse Naroviel, il Gran Cavaliere mandò in ogni angolo delle Verdi Terre i suoi più fidati collaboratori, con lo scopo di cercare, anche fra le più sperdute contrade, tutte le fanciulle i cui dati somatici e l’età corrispondessero alla descrizione fatta dal Sommo Indovino. L’ordine era di portarle immediatamente nella capitale. Quando io partii da Naroviel, tutti i messi avevano fatto ritorno. Nelle intense ricerche, portate avanti con frenetica celerità, ma capillarmente, siamo riusciti a rintracciare dodici ragazze. Ognuna di esse, per la sua bellezza, potrebbe aspirare alla posizione di regina. Le giovani furono subito alloggiate in un palazzo della città, tenuto segreto a tutti e posto sotto strettissima sorveglianza, ma come dovemmo amaramente constatare, tutti gli accorgimenti attuati non servirono a nulla. Il loro arrivo e il nascondiglio non erano sfuggiti agli occhi degli astutissimi Smull. Raggiunta la tetra Nug-Rhor, di ritorno da Altetorri dei Venti, Orfur aveva infatti sguinzagliato, a sua volta, i suoi terribili emissari. L'ordine ricevuto da quei portatori di morte, era quello di sterminare tutte le fanciulle da noi cercate, trovate e tenute nascoste.

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Approfittando delle notti senza luna, gli Smull si sparsero un po’ ovunque. Alcuni di essi si insinuarono addirittura dentro Naroviel, dove agiscono tuttora invisibili e inafferrabili. Tramando nel buio, come è loro consuetudine, quei malvagi esseri vennero a conoscenza del rifugio scelto per le ragazze. Erano trascorsi solo pochi giorni dall’arrivo delle giovani donne a Naroviel, quando essi uscirono dall’oscurità e vennero per eseguire il loro mandato. Fu un vero miracolo se quei demoni non conclusero con successo il loro piano. Dopo aver sopraffatto le sentinelle, entrarono nella camera dove solitamente dormivano le giovani e con furia omicida abbatterono le loro spade sui letti e su tutto ciò che si trovarono davanti. Fortuna volle che quella sera, angustiato da un oscuro presentimento, qualcuno avesse fatto trasferire le giovani in una soffitta del palazzo. Quando gli Smull s’accorsero d’essere stati beffati, continuarono tenaci la loro ricerca. Stavano già forzando l’uscio del sotto tetto, quando ne vennero distolti dal grido d’allarme di una guardia che aveva scoperto i corpi senza vita dei compagni. Fu solo allora che dovettero abbandonare l'impresa e ritirarsi in tutta fretta, sfiorando quasi la preda che stava ormai cadendo sotto i loro artigli. Ovviamente le ragazze furono subito condotte in un altro luogo ma, dopo quanto era successo, giustamente il Gran Cavaliere ritenne troppo insicura la loro permanenza in città. Da dentro le mura sarebbe stato più facile controllare un esercito di assedianti che tenere lontano quegli invisibili esseri della notte. Appariva chiaro, a quel punto, che non vi era fortezza o luogo segreto in cui essi non fossero stati in grado di penetrare. Alla svelta, fu perciò elaborato un nuovo piano, più adeguato alla sicurezza delle giovani donne. Tra affannate consultazioni e continui ripensamenti, il Gran Cavaliere giunse alla conclusione che il luogo migliore per proteggere le ragazze fosse una sconosciuta, insospettabile località, lontana dalla capitale. Per farla breve, venne scelto il vostro borgo. Riteniamo che Valdelprato, protetto alle spalle da una catena di monti, lasciato fuori dalle vie di comunicazione più importanti, se non l’ideale, risulti almeno il più adatto rifugio per il nostro scopo. Naturalmente è presupposto categorico che lo spostamento e la permanenza al villaggio delle giovani rimanga segreto e




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sconosciuto a tutti. Da qui l’esigenza assoluta che non una parola trapeli di quanto vi ho rivelato. Questa è dunque la richiesta di Ildaran: con la massima celerità e nella più assoluta segretezza, alcuni di voi dovranno recarsi a Naroviel. Una volta raggiunta la capitale, vi saranno affidate le fanciulle perché vengano condotte qui, dove voi le alloggerete. Se mi chiedete fino a quando, vi rispondo subito che non siamo ancora in grado di prevederlo. So solamente che nessun estraneo, nessun occhio indiscreto, nessuno insomma le dovrà mai né vedere né sentire e nemmeno supporre neanche lontanamente, che qualcuno si nasconda nel vostro villaggio». Il Viandante tacque per qualche istante; il tempo necessario per gettare un'occhiata alle facce allibite dei primi tre o quattro uomini che gli stavano davanti. Poi riprese: «Leggo sui vostri volti, oltre allo smarrimento, la sensazione che questo piano rasenti l’assurdo. Forse una prima valutazione potrebbe farlo sembrare tale, ma in effetti, se ci pensate bene, dovete ammettere anche voi che non è poi così folle. Posto fuori discussione che a Naroviel le fanciulle non possono più rimanere, è conseguenza logica la necessità di portarle altrove. Fin qui penso non ci sia nulla da eccepire. Ma un simile delicatissimo cambiamento di luogo in quali termini deve venire scelto e come può essere attuato per avere le maggiori garanzie di sicurezza? Qualora le ragazze venissero scortate al loro nuovo rifugio da un gruppo numeroso di guerrieri, gli Smull sarebbero certamente in grado di controllarne lo spostamento, scoprendo di conseguenza la località prescelta, nel qual caso ci ritroveremmo alla loro mercé. Un esiguo gruppetto di persone invece può molto più facilmente, con un po’ di fortuna e una buona dose di coraggio e di destrezza, sgusciare via inosservato e far sparire da sotto il naso di quelle malefiche creature la preda tenuta d’occhio costantemente. Infine, uno sperduto villaggio è l’ultimo luogo a essere preso in considerazione quale segreta dimora delle dodici fanciulle. Noi crediamo che una simile mossa, proprio per la sua imprevedibilità, possa ritenersi l’unica valida alternativa all’attuale situazione. Ora conoscete tutto quanto dovevate conoscere. Quale sia la vostra risposta e come intendiate agire è necessario concordarlo prima di uscire da questa stanza». Dopo la rapida, categorica conclusione del Viandante, che non concedeva alternative, l’assemblea parve non destarsi




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dall’allibito mutismo in cui era sprofondata. Gli uomini, letteralmente frastornati, sembravano non essere in grado di riprendersi. Una pesante randellata in testa ad ognuno non avrebbe sortito l’effetto che una tale sequenza di notizie, con relativa allucinante conclusione, aveva provocato nella loro mente. Nessuno s’era accorto che già da parecchio tempo le inerti pipe, penzolanti dalle semiaperte bocche, non emettevano più il minimo accenno di fumo. Ma chi poteva pensare alla pipa in quei momenti! Ben altre preoccupazioni frastornavano il cervello di quegli allibiti abitanti di Valdelprato. Avevano atteso con impazienza di conoscere le notizie che il Viandante avrebbe scodellato. Speravano fossero di un certo interesse, sentendo il bisogno di riempire la altrimenti noiosa serata. E ora che le avevano conosciute erano rimasti di sasso. Così interessati, così sicuri di se stessi solo poche ore prima, ora si sentivano svuotati di ogni capacità di reazione, in completa balia delle sconvolgenti rivelazioni. Piano piano qualcuno dette il primo, impacciato segno di ripresa, uscendo dal torpore che sembrava aver paralizzato tutti quanti sui propri scanni. Qua e là alcuni timidi mormorii fecero capire che l’assemblea stava reagendo; con difficoltà, ma reagiva. Finalmente, in qualità di capo villaggio, Romidor sentì il dovere di farsi forza e di alzarsi per dire la sua, che, in definitiva altro non era che una semplice domanda. «Quando si dovrebbe partire?» chiese con voce incerta. «Domani all’alba, dovrete già essere in cammino. - Rispose risoluto il messaggero. - Ma sarà necessario stabilire prima quali uomini andranno a Naroviel». Dopo un’ulteriore pausa, durante la quale la stanza cadde in un nuovo silenzio, il Viandante riprese: «Non abbiate timore! Almeno non più di quanto è necessario. Una volta giunti in città, riceverete tutte le opportune istruzioni e ogni possibile aiuto per ritornare sani e salvi al vostro villaggio... E poi gli Smull non sono esseri soprannaturali né invincibili. E ricordate: la loro debolezza apparirà tanto più evidente quanto maggiore sarà il coraggio da voi dimostrato. Non dimenticate da ultimo le parole del Supremo Indovino: «... Sarà con i tuoi nei momenti difficili, colui che sta assimilando i miei poteri. Sappiate dunque agire e reagire da autentici uomini. Il Gran Cavaliere pone in voi tutta la sua fiducia. Consegnando nelle vostre




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mani un così prezioso tesoro da custodire, egli esprime a voi il massimo onore che un uomo possa dare ad altri uomini. Affrontate con determinazione questo incarico e un giorno ne sarete ripagati in misura cento volte maggiore». La risposta non si fece attendere. «Mio fratello ed io siamo pronti a partire per Naroviel e non saranno né Smull né chiunque altro a farci desistere dal nostro proposito.» In mezzo all’ancora tiepido uditorio s’era alzato, a pronunciare tutto d’un fiato queste accalorate parole, il giovane Teagal. Non aveva che ventitré anni l’aitante giovanotto, ma era dotato di notevole maturità. Viveva con la vecchia madre e i molti fratelli in un casolare fuori del villaggio, proprio a ridosso dei primi alberi del bosco. Si guadagnava da vivere tagliando legna, allevando pecore e vendendo l’abbondante cacciagione che si procurava con l’infallibile suo arco. Lui e il fratello minore Uclioper infatti erano conosciutissimi per la loro maestria nell’uso di quell’arma. L’entusiasmo delle parole del giovane sembrò far breccia negli animi degli altri e più di tutti in quello di Alberteior, o Teior, come in paese erano soliti chiamare il mugnaio. Fino a quel momento, più per un senso d’impaccio che per altro, l’imponente uomo s’era trattenuto dall’alzarsi, ma la voglia di farlo e l’irrequietezza per non riuscire a decidersi lo stavano facendo ciondolare avanti e indietro su quel suo sgabello troppo piccolo per sostenere una così robusta mole. Avrebbe voluto saltare in piedi e dare la sua adesione per primo, ma temeva, con il suo goffo modo di esprimersi, di suscitare nei compagni la solita ilarità, anziché il dovuto consenso. L’entusiasmo di Teagal finì per fargli accantonare gli indugi.

«Mmausate con parsimonia la farina che maatenete nelle madie, amici miei, -disse- perché dovrà mmabastarvi fino a quando avrò fatto ritorno da Naroviel.» Non c’era modo più chiaro per far capire che all’indomani, alla partenza, ci sarebbe stato anche lui. A quel punto Romidor, data la sua posizione al villaggio, non poteva più esimersi dal dire la sua che, ovviamente era la propria disponibilità. Tanto più che la compagnia dell’amico Teior gli prometteva molta maggior sicurezza e fiducia nell’affrontare gli imprevisti della pericolosa spedizione. Abilissimo poi nel




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maneggiare qualsiasi tipo di attrezzi da lavoro, egli confidava di trovarsi altrettanto a suo agio, in caso di necessità, nel disimpegno con le armi. Nonostante le generose adesioni, rimaneva aperto un problema: i quattro uomini non s’erano praticamente mai allontanati dal villaggio. Nelle rarissime occasioni in cui l’avevano fatto, erano giunti sì e no poco oltre Pecorviel o ad Acquaferrosa appena. Veniva spontaneo presumere quindi che la conoscenza del percorso da compiere presentasse forti lacune. In quella determinata circostanza invece, il sapersi orientare con sicurezza appariva necessità di primaria importanza, soprattutto qualora fossero stati costretti, da improvvisi pericoli o da contrattempi, a cambiare all’ultimo momento direzione e seguire imprevisti sentieri. Oltretutto, dovendo compiere il tragitto con la più assoluta segretezza, avrebbero dovuto sbrigarsela interamente da soli, in qualsiasi frangente, senza alcun aiuto da parte di altri. Un tale ostacolo venne però tolto di mezzo dall’intervento di Stanovis, il mercante. Dedito da lungo tempo a viaggi per affari, egli aveva trascorsa la sua esistenza più a percorrere strade e sentieri da un luogo ad un altro che a calcare il pavimento della propria abitazione. Conosceva molto bene anche le vie meno frequentate. Quelle poi che portavano alla capitale non avevano per lui alcun segreto. «Per l’appunto uno dei prossimi giorni avrei dovuto recarmi a Naroviel. — Disse prendendo la parola. — Assieme alla merce potrei portare anche voi.» La quadratura del cerchio a quel punto era fatta. I volontari erano ben assortiti, autosufficienti in tutto e in cinque. Al Viandante il numero parve sufficiente. Un gruppo maggiore avrebbe causato più problemi che vantaggi. Non restava che fissare l’ora della partenza e alcuni altri dettagli. Poche battute e tutto fu ben definito.

«Andate sicuri! -Concluse il Viandante.- Il vostro coraggio vi aiuterà a compiere con successo l' impresa. Vorrei esservi accanto anche fisicamente. Purtroppo un altro impegno, non meno pressante del vostro, mi attende. Non appena riuscirò a portarlo a termine, sarò di nuovo in mezzo a voi. E ora potete far ritorno ai vostri casolari. Sopra di noi si stanno addensando nere nubi apportatrici di terribili tempeste, non




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lo dimenticate, ma non dimenticate nemmeno che, sacrificandoci e lottando con vigore, usciremo vittoriosi da questa tormentata situazione.» Senza aggiungere altro, l’Uomo di Naroviel si accomiatò, prima di uscire dalla stanza con lo stesso passo deciso con cui si era presentato. Dove fosse diretto, nessuno lo sapeva, ma quella sua andatura così determinata diceva chiaramente che il compito al quale era chiamato richiedeva estrema urgenza. Era ormai notte fonda quando gli uomini di Valdelprato, esaurita la gran mole di commenti, decisero di avviarsi verso le loro abitazioni. Ognuno di essi, strada facendo, sembrava totalmente immerso in angosciate considerazioni personali. L’inevitabile, continuo richiamo alla mente di tutto ciò che di tremendo e d’importante era stato udito nella locanda, suscitava ancora costernazione e paura; intensa paura. A quel punto, se ciò che aveva rivelato il Viandante corrispondeva al vero, e di questo non c’era da dubitare, ci si doveva attendere da un giorno all’altro l’arrivo di un vero e proprio cataclisma. E quale fosse la portata di inevitabili eventi, nessuno sarebbe stato in grado di immaginare. La pace e la tranquillità di un’esistenza a volte magari monotona, ma sostanzialmente serena, stavano per abbandonare le contrade delle Verdi Terre. Quale altra vita, se di vita si sarebbe ancora potuto parlare, bisognava tenersi pronti a sostenere?








































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