CAPITOLO 2°
La
curiosità di conoscere quanto prima ciò di cui il Viandante avrebbe
parlato, spinse gli uomini del villaggio ad accorrere alla locanda
del Gallo prima ancora dell’ora prestabilita.
Arrivarono tutti quando il crepuscolo aveva appena ceduto il posto
alla sera; gli abitanti del centro prima, quelli dei ca solari più
lontani subito dopo. A mano a mano che entravano, l’oste, secondo
l’ordine ricevuto, li faceva accomodare in una stanza a piano
terra, un po’ appartata dagli altri locali, messa a disposizione
appunto per la circostanza. L’aveva chiesta con insistenza il
Viandante, volendo evitare che eventuali estranei, con o senza
intenzione, avessero modo di ascoltare le segretissime notizie che
egli portava da Naroviel.
Quella sera, nella fumosa
stanza d’osteria, tutti gli uomini parevano di buon umore e si
rivelarono subito più ciarlieri del solito. Non erano frequenti le
occasioni per trascorrere una se rata diversa dal solito. Le sempre
appetite notizie, provenienti dall’esterno, arrivavano a
Valdelprato saltuariamente, troppo saltuariamente. Erano per lo più
portate dai mercanti del po sto che, di ritorno dai mercati della
capitale o da altre città lontane, trovavano in un modo o nell’altro
qualcosa da raccontare. Forse una fonte di novità più richiesta,
anche se meno attendi bile, era data dai numerosi vagabondi di
passaggio. Per un pezzo di pane o una ciotola di minestra,
biascicavano le magre noti zie di cui erano a conoscenza, gonfiandole
o distorcendone la verità, ma accompagnandole sempre con toni di
voce inquietanti e misteriosi per sortire maggior effetto e per
ottenere in cambio qualcosa di più. Salvo in rarissime occasioni,
quindi, sia gli uni che gli altri possedevano roba di poco conto da
buttare in pasto a gente che viveva fuori del mondo e perciò sempre
affamata di novità; roba che poteva catturare l’interesse di chi
ascoltava sì e no per alcuni minuti, lasciando poco dopo ognuno
nella sua solita, iniziale indifferenza. Ma quelle volte in cui il
Viandante metteva piede in paese, si era sicuri che giungevano
puntuali le grosse notizie. E quanto usciva dalla bocca di
quell’uomo, si poteva star certi, era inconfutabile verità.
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Tutti
gli uomini di Valdelprato erano intenti in queste loro rumorose
considerazioni, quando la porta della stanza si spalancò
d’improvviso. Con passo svelto e sicuro il Viandante fece il suo
ingresso.
Romidor notò subito che l’uomo stanco di poche ore prima, era
ritornato di nuovo il personaggio altero di sempre; il misterioso
essere che incuteva alla gente rispetto e soggezione.
Di colpo la stanza cadde in un profondo silenzio. Gli
sguardi di tutti fissarono attenti la figura appena apparsa. Erano lì
che aspettavano pronti a bere ogni parola che fosse uscita da quelle
labbra. E il suono della voce baritonale dell’ospite non si fece
attendere. «Signori!» Incominciò. E prese subito fiato.
Era la prima volta che quell’uomo, sempre parco di
inutili vocaboli, si rivolgeva a loro con un simile termine. Quando
mai infatti essi avevano udito il Viandante aprire i discorsi con un
così roboante aggettivo? Qualcosa di molto, molto importante doveva
bollire in pentola. Il silenzio, già profondo, si fece totale. Una
mosca in volo sarebbe stata avvertita anche dal più sordo dei
presenti.
«Signori! — riprese — Quanto
udrete tra poco dovrà rimanere segreto nella maniera più assoluta.
Dopo che avrete lasciato questo luogo, non una parola di quanto si
sarà detto qui dovrà uscire con voi.
Eventi di estrema gravità
stanno sopraggiungendo e sembra abbiano tutte le intenzioni di
abbattersi assai presto e con violenza sulle nostre contrade. Alcuni
di essi, anzi, sono già in atto e vi assicuro che interessano tutti
noi da molto vicino.» Ecco, le appena ventilate
supposizioni stavano diventando certezza.
«Sono
partito da Naroviel parecchi giorni or sono, proseguì l’uomo dopo
una breve, seconda pausa — inviato dal Gran Cavaliere in persona
con lo scopo di portarvi un suo messaggio e un suo volere.
Malauguratamente, durante il viaggio, fui assalito da un gruppetto di
Smull. La furibonda lotta che sostenni non valse a sottrarmi a quegli
infernali cavalieri della notte. Venni disarcionato e fatto
prigioniero. Avevano ricevuto l’ordine, suppongo, di trascinarmi a
Nug-Rhor, macabro covo del loro Signore. Devo la mia presenza qui, in
mezzo a voi, al coraggio e all’intraprendenza di alcuni Silverleni,
i quali riuscirono a farmi fuggire.
12 Purtroppo
una simile disavventura, oltre a complicare le cose, ritarda di tre
giorni il mio arrivo a Valdelprato e voglia Iddio che questa
disgraziatissima perdita di tempo non si riveli fatale».
Donanfrel, quella sera, pareva
solleticato più che mai dal la brama di conoscere le misteriose
notizie che gli adulti del villaggio avrebbero ascoltato presso la
locanda. Sapeva del divieto categorico, posto dal Viandante, a che
nessun altro, all’infuori degli uomini, partecipasse all'assemblea.
Ma con i suoi diciassette anni, forse poteva accampare, sia pur
timidamente, il diritto di essere considerato ormai un uomo e
accettato come tale. Valeva quindi la pena
farsi avanti e proporre le sue giustificate esigenze.
«No!» Fu la secca risposta di Romidor, buttata lì prima ancora che
il figlio avesse finito di formulare la richiesta. «Il Viandante è
stato molto chiaro al riguardo. L’hai sentito tu stesso del resto:
solo gli uomini!» «E io chi sono? Un bambino forse?»
Protestò incerto Donanfrel.
«Non hai ancora
diciassette anni.»«E ti sembrano pochi? Ma poi, cos’è tutto
questo mistero e questa ingiusta pretesa di parlare solo con gli
adulti? Sta crollando il mondo, per caso?»
«Che cosa stia succedendo non lo
so e non l’immagino neppure, ma quell’uomo deve avere i suoi
buoni motivi per aver insistito su quel suo ordine. E ora cambia
argomento se vuoi che ti dia ancora ascolto.»
Donanfrel comprese
che sarebbe stato fiato sprecato ostinarsi ancora su quella strada.
Le sbrigative ma categoriche argomentazioni, portate dal padre, non
davano spazio ad alcuna speranza di poterla spuntare. Ma il desiderio
di conoscere ciò che in gran segreto si sarebbe detto alla locanda
non sembrava volersi assopire. Diveniva sempre più insistente, più
determinato. «Il desiderio aguzza la mente!» Era
solito rammentargli nonno Ilovisl, anche se lo diceva per altri
motivi. Ma Donanfrel ebbe modo di sperimentare in quella circostanza
almeno la validità di un simile detto.
«E va bene! — Rispose
con aria falsamente rassegnata. — Mi accontenterò di farmi
raccontare tutto, domani dal nonno». « Né domani, né mai!»
Fu la risposta finale di Romidor, che evidentemente non aveva
afferrato l'ironica falsa rassegnazione del figlio.
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Come
era sua consuetudine, Donanfrel salutò tutti prima di chiudersi in
camera, convinto ormai, che, se suo padre e il Viandante non volevano
che egli partecipasse alla riunione, era cosa che non lo interessava
più. Egli sarebbe stato presente ugualmente all’assemblea, agendo
di sua iniziativa. E nessuno avrebbe per forza dovuto venire a
conoscenza della sua non invitata presenza.
Attese con
pazienza che padre e nonno fossero usciti, poi, quando il silenzio
della casa l’assicurò che tutti gli altri si erano coricati, dette
il via al suo piano d’azione. Si rivestì in fretta. Con la massima
attenzione a non provocare alcun rumore, aprì la finestra. Senza
rendersene conto, stava persino trattenendo il fiato, tanto era il
timore di svegliare qualcuno della famiglia. Scavalcò il davanzale
e si lasciò cadere. Un breve salto nel vuoto e
fu a terra. «Molto bene! E ora a noi due, Viandante!» Si
disse quasi a farsi coraggio. Prese a camminare quatto quatto,
guardandosi attorno furtivamente, come un ladro di galline che teme
di venire scoperto con le mani nel sacco.
La notte era silenziosa, nera come la
pece e un’arietta gelida sferzava la faccia del ragazzo. Sibilando
sommessa, scivolava via subito, quasi fosse richiamata in fretta
altrove. Oltre a quella fredda compagnia, certe strane sensazioni
presero a ronzare attorno alla mente di Donanfrel e ad infastidirla;
sensazioni spiacevoli che stavano incrinando la sua precedente,
assoluta sicurezza in ciò che si accingeva a compiere. Forse un
pizzico di paura voleva insinuarsi maligna dentro di lui per tentare
di mandare all’aria i suoi piani?
«No, questo mai!» Si disse risoluto il ragazzo. Sapeva di
poter contare ancora sul suo coraggio e sapeva anche non essere
assolutamente il caso di dare eccessiva importanza all’insistente
turbamento che ora lo stava mettendo proprio a disagio. Purtroppo, e
Donanfrel se ne rese conto subito, non sempre la razionalità era in
grado di prevalere sui sentimenti e in quel momento egli sentiva
d’aver paura, checché ne dicesse la ragione. Più avanzava e meno
la sicurezza iniziale lo sorreggeva. Giunse addirittura al punto di
provare una gran voglia di tornare indietro a ricacciarsi tra le
coperte, certamente più sicure e più desiderabili di quella
inquietante passeggiata notturna. E avrebbe senz’altro assecondato
una simile impellente esigenza se la curiosità non avesse prevalso
ancora, sia pure per poco, sulla paura. Certo ora dava di sé
un’immagine assai poco dignitosa, anche se non c’era nessuno che
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lo
vedeva tremare a quel modo!... Ma per la miseria! Era o non era un
uomo? E se lo era, come egli stesso aveva tenuto ad affermare, perché
lasciarsi prendere la mano da puerili, immotivate angosce? Tanto più
che quella strada egli la conosceva come le sue tasche. Non aveva
motivo di temerla. Durante il giorno vi correva su e giù cento volte
almeno. Ma proprio qui stava il punto: percorrerla di giorno faceva
un effetto, anzi non faceva alcun effetto, ma di notte!... Ogni
albero, ogni cespuglio assumevano nell’oscurità l’aspetto di
foschi individui, di bieche figure pronti a saltargli addosso. Dietro
gli angoli dei primi casolari che precedevano il villaggio vedeva in
agguato chissà quali terribili ombre. Erano lì a scrutarlo
minacciose dentro quel maledetto, fittissimo buio.
Finalmente, tra i neri muri delle altre
abitazioni, scorse le finestre illuminate della locanda. Allungò il
passo sentendosi già rincuorato alla vista della luce che, per
quanto fioca, dava un gradevole senso di sicurezza. Quando fu
abbastanza vicino da vedere le sagome di alcuni uomini
muoversi all’interno delle finestre, si fece più cauto. Non
impiegò molto ad individuare la stanza che gli interessava.
Muovendosi silenzioso come una fauna, scavalcò la bassa staccionata
che separava l’orto dell’oste dalla stradina. Ecco, ora poteva
vedere meglio quanto succedeva nella saletta, solo non riusciva
ancora a percepire suoni o rumori provenienti dall’interno di essa.
Avanzò allora, quasi in punta di piedi, fin sotto la finestra più
vicina. Gettò dentro con molta cautela una prima occhiata e lì, tra
un densa nube di fumo, intravide il gruppo di uomini. Erano attaccati
alle loro consunte pipe e pendevano letteralmente dalle labbra del
Viandante. Con una buona dose di paura, ma
senza eccessive altre difficoltà, era riuscito a concludere
felicemente la prima parte del suo ardito piano. Ora anche se il
cuore gli martellava in gola maledettamente, per nessuna ragione al
mondo se ne sarebbe andato da lì prima di aver captato tutto il
possibile. Udì, nel più totale silenzio, la
bassa voce dell’uomo di Naroviel che raccontava come, assalito dai
terribili Smull, fosse stato liberato da alcuni esseri sconosciuti,
chiamati Silverleni. Il ragazzo non ricordò d’aver sentito altre
volte pronunciare quel l’ultimo nome, mentre all’udire il primo
si sentì accapponare la pelle. In alcune storie infatti,
raccontategli dal nonno, gli erano già stati descritti quegli
orribili esseri provenienti dal regno del Nero Signore. Molti anni
addietro erano calati da oltre i monti Pliavel e
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avevano
seminato il terrore e la morte nelle contrade delle Verdi Terre di
Sopra.
Ma da queste sue personali considerazioni il giovane
si staccò subito per non perdere il filo del discorso che il
Viandante stava portando avanti, tanto più che era necessario
concentrarsi intensamente e tendere al massimo gli orecchi per capire
le parole, quasi sussurrate, che uscivano da lì dentro.
Benché totalmente preso dall’interesse di carpire la
segreta conversazione, Donanfrel avvertì improvvisa una nuova,
strana sensazione. Qualcosa ad un tratto era cambiato nell’aria;
qualcosa che ebbe il potere di trasmettergli una cupa inquietudine.
La sgradevole sensazione si fece subito violenta e prese ad
opprimergli l’animo intensamente e l’inquietudine si trasformò
in cieca paura. Donanfrel si senti minacciosamente osservato. Forse
l’angoscioso stato d’animo altro non era che la conseguenza di
puerili suggestioni, frutto solo delle circostanze, ma se anche si
trattava di una semplice immaginazione, egli la provava intensamente
e la soffriva in tutta la sua notevole sgradevolezza. Tese ancor più
gli orecchi già attenti al più piccolo rumore che poteva
provenirgli dalle spalle. Ora non aveva
più dubbi: qualcuno dietro di lui era in agguato e lo scrutava
malefico. Ne percepiva chiaramente il lento, rauco ansimare, come il
respiro di un grosso animale. Rabbrividendo, Donanfrel rimase
immobile, assolutamente incapace di reagire. Che doveva fare? Urlare?
Fuggire? Sentì il terrore paralizzarlo e togliergli ogni energia.
Eppure doveva fare qualcosa! E l’unica cosa da fare in quel momento
era girarsi e rendersi conto visivamente di ciò che stava succedendo
lì dietro, dentro quel buio.
Facendo violenza a se stesso e
vincendo la mortale paura che gli bloccava ogni muscolo del corpo,
Donanfrel si voltò di scatto. Ciò che vide in quell’istante lo
pietrificò. Una spaventosa figura gli stava alle spalle e lo fissava
con inesprimibile odio. Era avvolta in un mantello, nero
anch'esso, visto che non si distingueva dal buio. Probabilmente lungo
fino a terra, la sua sommità sembrava reggere una lugubre testa
bianchiccia, molto simile ma più raccapricciante di un teschio
umano. Dalle profonde occhiaie due carboni accesi lo stavano
scrutando orribili, spaventosi... Era uno Smull!
La spettrale creatura doveva
essere giunta lì, in assoluto silenzio, poco dopo di lui e, vistasi
scoperta, da sotto il mantello sguainò una lunga spada.
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Tra
sinistri bagliori, una lama incandescente si levò per colpire.
Donanfrel non poté far altro che emettere un lungo urlo strozzato
per esprimere tutto il terrore terrore e il paralizzante
raccapriccio. Immediatamente dopo cadde a terra privo di sensi. Lo
Smull sembrò tradire un attimo di esitazione. Si guardò
tutt’attorno, forse per assicurarsi che nessuno avesse assistito
alla brevissima sequenza. Quell'indecisione valse a salvare la vita
al ragazzo. Era troppo tardi ormai per toglierlo di mezzo. La
creatura notturna rinfoderò la spada e scivolò via silenziosa
com’era arrivata, appena in tempo per non essere
scorta. Interrotta bruscamente la conversazione dall’improvviso
grido, alcuni uomini s’erano precipitati alle finestre per rendersi
conto di cosa fosse successo. Ma lì fuori tutto sembrava ripiombato
nella più assoluta immobilità. Il silenzio era ritornato a regnare
sovrano in compagnia del buio. Non fu nemmeno possibile scorgere il
corpo di Donanfrel che, caduto a terra, giaceva immobile proprio
sotto il davanzale.
Per qualche istante furono tesi gli orecchi e si scrutò
nell’oscurità, nel vano tentativo di intravvedere qualcosa o
qualcuno che fosse una risposta allo strano grido. Ma non fu scorto
né sentito nulla. L’ultimo uomo, attardatosi alla finestra, si
decise perciò di richiudere e ritornare all’interrotta
conversazione, sollecitato dai compagni, ai quali evidentemente
interessava il discorso del Viandante più di tutto il resto. «E'
necessario — proseguì l’uomo di Naroviel quando tutti ebbero
ripreso il loro posto — che, prima di trasmettervi l’ordine di
Ildaran, risalga a monte degli avvenimenti, in modo che possiate
rendervi conto della necessità di agire tempestivamente e di
intraprendere ogni vostra futura azione con assoluta prudenza.
Inoltre vi sarà indispensabile conoscere l’intera vicenda, fin
dalle sue origini, per farvi un quadro completo della situazione, dal
momento che ne sarete chiamati in causa direttamente. Gli avvenimenti
in questione sono iniziati da poco, ma ho le mie buone ragioni per
ritenere che essi avranno vita lunga e lasceranno strascichi ancor
più lunghi.
Due lune piene or sono
giunse a Naroviel un messaggero. Era stato inviato dal Supremo
Indovino. Data la foga, sembrava dover recare notizie della massima
urgenza. E lo erano infatti. Il suo mandante invitava il Gran
Cavaliere, Signore delle Verdi Terre, a raggiungere
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quanto prima Altetorri
dei Venti di Roccastellata. Sono queste, per chi non le conoscesse,
le dimore abituali del Signore della magia. Poste a ovest del lago
Bonacel, esse si trovano arroccate su una vetta delle Montagne
Nubifore. Non era suo compito, riferì il messaggero, rendere
noto il motivo di tale pressante invito. Esso sarebbe stato svelato
ad arrivo avvenuto di Ildaran presso Altetorri. Sapesse comunque il
Gran Cavaliere che dalle conseguenze di quel sommo consesso sarebbero
dipese le sorti di tutti i popoli delle Terre Conosciute. Non era
assolutamente il caso di prendere alla leggera un simile messaggio,
soprattutto sapendo da chi esso era stato in viato, per cui Ildaran
portò a termine in fretta alcuni impegni della massima urgenza e il
giorno dopo fu in grado di mettersi in marcia alla volta delle
Montagne Nubifore. Non appena mise piede ad Altetorri, venne condotto
nel salone degli incantesimi. Lì trovò il Sommo Indovino già
attorniato da alcune persone. L’anziano signore della magia stava
seduto sul suo alto seggio nero, trapuntato di pallide stelle
argentee. Immobile e assorto in astrusi pensieri, sembrava attendere
proprio l’arrivo del responsabile delle Verdi Terre, per poter dare
inizio alla misteriosa seduta. Il suo aspetto, un tempo maestoso e
possente, era di molto invecchiato. Lì, sul suo trono che l’aveva
visto grande fra i più grandi indovini di tutte le Terre Conosciute,
si presentava in quel momento decadente, quasi esausto. Una lunga
barba serica gli scendeva fin sul grembo ad accentuare, assieme alle
profonde rughe del viso, i segni della vecchiaia. Ma gli occhi, dallo
sguardo intenso, profondi e quasi ricoperti dalle folte sopracciglia
e il prominente naso aquilino non gli avevano fatto perdere la
severità e il vigore magnetico di chi sa dominare l’arcano, di chi
può scrutare l’ignoto. Il Signore delle Verdi Terre fu
invitato a sedere su di uno scanno, posto proprio di fronte al
Supremo Indovino. Alla sua destra era l’esile figura di Isarin,
Regina delle Terre a Ponente, tutta compunta e chiusa in se stessa.
Costei rispose al deferente saluto del Gran Cavaliere con un cenno
del capo appena percettibile. Più a destra si trovava Duxpelago
dalla larga faccia rubiconda e godereccia, capo delle genti del Sud.
Ma l’attenzione di Ildaran venne subito catturata dal personaggio
che gli stava a sinistra. Torvo sul proprio scanno, sedeva l’eterno
nemico delle Verdi Terre: il malefico Orfur, onnipotente Signore di
Sologun. Chiuso in
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una scura armatura,
ricoperta a sua volta da un ampio mantello nero, egli sprigionava,
con quel suo sguardo bieco, una ferocia e un tale intenso odio verso
tutto e verso tutti, da sembrare persino palpabili. Gli occhi
crudeli, accesi come ardenti tizzoni, emanavano un potere ipnotico
talmente intenso da annientare il volere e rendere succubi le menti
degli umani. A guardarlo sembrava proprio vero quanto si andava
dicendo sul suo conto: di umano non aveva quasi niente, forse nemmeno
la propria origine. Mentre l’oscuro essere sedeva truce in mezzo
agli altri grandi responsabili delle Terre Conosciute, le sue ossute
mani uscivano di tanto in tanto, nervose, da sotto il mantello.
All’indice destro era infilato un grosso anello, forgiato a forma
di teschio. Quello era il suo emblema; quello era il suo potere;
quello il suo volere. «Ci siete finalmente. — Iniziò il Supremo
Indovino. — I signori di Tutte le Terre Conosciute sono riuniti al
completo. Per innumerevoli anni è stato atteso questo momento. Ho
dovuto tessere con pazienza e tra indicibili difficoltà il
complicatissimo arazzo che parla delle vostre terre; di tutte le
terre. Ho forgiato nelle solitudine e in profondissime contemplazioni
la lunga catena che costituisce le vicende passate, presenti e future
di tutti i vostri popoli. L’ultimo anello è finalmente congiunto.
Ora, sono maturati i tempi in cui i vostri destini e i destini delle
vostre genti vi saranno svelati. Ma lo saranno solo parzialmente,
perché molta parte di tali destini sarete voi stessi a modellarla,
con le vostre mani, con le vostre menti, con le vostre
azioni. La tua gente, Duxpelago, dedita anima e corpo alle
sottili arti del commercio, non è stata scelta dal Volere Supremo
per plasmare la propria e l’altrui sorte. Il commercio, da voi
scelto come scopo della vostra esistenza, è sì importante e
necessario per l’evolversi del genere umano, ma rimane un ideale
troppo basso e ben misero fine per pretendere che da esso dipenda il
futuro del mondo, anche se un giorno le apparenze potranno affermare
il contrario. Continuate dunque a solcare fiumi e mari, ad
attraversare monti e pianure, nella ricerca sempre più pressante di
nuovi e più pingui mercati. Altri, per voi, tracceranno il vostro
avvenire. E tu, splendida Signora del grande popolo dei Laisfel,
finché rimarrai chiusa nella tua superba alterigia, sarai causa di
molte sofferenze. A torto ti senti estranea e al di sopra di quelle
che tu consideri spregevoli passioni, potente Isarin. Non sarai
nemmeno tu l’artefice delle sorti che gravano sul futuro del genere
umano;
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almeno non la tua
persona fisica. Tuttavia la condotta che assumerai avrà un peso
determinante sui piatti della bilancia del Destino. Solo se riuscirai
a squarciare il diaframma dell'altero isolamento che ti separa dal
mondo esterno e che da millenni circonda te e la tua antica stirpe,
potrai realizzare in pieno la sacra regalità di cui sei stata
investita. Con la tua progenie darai così l’indispensabile
contributo alla nuova umanità. Questa nuova umanità -continuò il
Supremo Indovino rivolgendosi a Ildaran -trarrà origine non da te
direttamente, ma da un rampollo della tua gente, Signore delle Verdi
Terre, oppure da te e dalla tua oscura potenza, Signore di Sologun.
-Disse ancora volgendo il capo verso il tetro Orfur. -Se dal l’uno
o dall’altro, sarete voi stessi a deciderlo. La gestazione
ditale risposta esigerà tempi lunghi, durante i quali funesti
avvenimenti turberanno molti popoli. Se alla fine sarà la tua forza
a prevalere, nobile Ildaran, il giovane della tua terra, designato
dal Volere Supremo a succederti, dovrà scegliere la sua
compagna. Una fanciulla dalla chioma bruna, dalla carnagione candida,
dagli occhi riflettenti il cielo, apertisi alla prima ora di sedici
primavere or sono, sarà accanto, per l’intera sua esistenza, al
nuovo signore di Tutte le Terre Conosciute. Dalla loro unione avranno
vita i nuovi Uomini. Essi saranno diversi da voi, non tanto
fisicamente, quando nello spirito e nel cuore. A loro sarà concesso
di divenire dominatori incontrastati del mondo. Tutto questo
avverrà qualora tu non riesca a impedirlo, tremendo Signore di
Sologun. Altrimenti, sarà il tuo possente spirito malefico a
dominare ogni cosa”. Il grande maestro dell’arcano tacque e
tornò ad abbassare la testa. Il silenzio però non si protrasse a
lungo, perché Orfur si alzò dal proprio scanno e la sua voce fu
udita risuonare con arroganza nella sala. «Da che cosa si
riconosceranno, vecchio, i due che, secondo le tue previsioni,
potrebbero un giorno dominare il mondo?» Il Supremo Indovino,
richiamato agli interessi che aleggiavano dentro quei muri avvolti di
mistero, fece rivedere i profondi occhi e lentamente
rispose: «Si sta concludendo la lunga parabola della mia
esistenza terrena. Dopo quest’ultima rivelazione i miei poteri
ritorneranno là da dove uscirono, per essere messi a disposizioni di
un altro che già sta aspettando.
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Sappi, astuto Orfur, e
sappiano tutti gli altri assieme a te, che il giovane dominatore del
mondo sarà colui che riuscirà a dividere lo spirito malefico dal
tuo corpo, spezzando ogni tuo potere e la tua stessa vita. La sua
compagna si rivelerà colei sul cui capo la sacra corona di Diadrel
brillerà di una vivissima luce adamantina. Altro non chiedermi.
Nulla più mi è concesso di conoscere». «Ancora per poco essi
godranno della luce del sole!» Li sibilò con sordido rancore quei
minacciosi propositi. Dopodiché Orfur si avvolse nel nero mantello e
uscì dalla sala senza più degnare di uno sguardo i presenti. Poco
dopo stava già percorrendo la strada che lo doveva portare a
Nug-Rhor. «Il tempo è la cosa più preziosa di cui un uomo
possa disporre e se fossi in te, Ildaran, non ne perderei neanche un
frammento. -Disse in un sussurro il Supremo Indovino.- Va, raccogli
le fanciulle descritte e mettile al sicuro. Tra di esse potrebbe
trovarsi la prescelta e l’astuto Orfur sta già predisponendo i
suoi foschi piani per precederti. Va dunque! Nei momenti più
difficili troverai al tuo fianco e sarà con i tuoi colui che
gradualmente sta assimilando i miei poteri». «Sommo
conoscitore del tempo, -prese a dire Ildaran- le sconcertanti
rivelazioni, udite oggi, non tarderanno a mettere a soqquadro Tutte
le Terre Conosciute. Come conseguenza logica di quanto è stato da te
detto, un tremendo scontro si appressa inevitabile. E la malefica
potenza di Orfur è grande, spaventosamente grande. Essa va oltre i
semplici limiti umani. Ed io ho paura. Tremo nel pensarmelo dì
fronte come nemico con il quale disputare le sorti del mio popolo.
Non provo vergogna di rivelare la profonda angoscia che turba il mio
animo. Forse tutto questo non si sarebbe reso necessario se tu
l’avessi tenuto nascosto. Forse Orfur avrebbe continuato a
ringhiare minaccioso, limitandosi a farlo restando al di là dei
monti Pliavel. Perché allora queste tue spaventose rivelazioni?
Perché questa terribile realtà, impostaci con tanta crudezza?
Perché hai voluto tutto ciò, Supremo Indovino?» «Perché tu
comandi e governi?» Fu la risposta del gran vecchio. «E perché i
tuoi guerrieri obbediscono agli ordini? Per ché un ciuffo d’erba
in un’arida pietraia o un ciottolo in un sentiero? Io non li
conosco questi «perché» e non li conosci nemmeno tu, né chiunque
altro li conosce, ma essi ci sono, esistono. Ogni vivente, ogni cosa,
per quanto inutile possa sembrare, ha il suo perché». Il
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mio è la necessità di
scrutare il futuro e rivelarlo. E non chiedermi nemmeno perché lo
faccio. Non ne ho la vera, profonda risposta. Essa non rientra nel
mio conoscere. Forse i «perché» ultimi di tutte le cose sono il
«perché» di qualcun altro, sicuramente al di sopra, in ogni senso
i tutti noi. Era preferibile che la situazione rimanesse come
stava, tu dici? Non dovrei essere io a disilluderti sulle minacce
finora non attuate da Orfur. Tu dimentichi che io ho solamente
rivelato ciò che succederà, che tu o chiunque altro l’aveste
saputo o meno. Non sono io a dare una direzione piuttosto che
un’altra al destino delle genti. Io la posso prevede. Tutto qui. E
debbo aggiungere che solo Orfur, qualora fossi stato zitto, avrebbe
conosciuto il futuro, perché egli stesso da tempo se lo sta
preparando, a proprio vantaggio, imbastendo oscure trame, tessendo il
suo potere nel male e nella perfidia. Le mie rivelazioni non hanno
fatto altro che svelare a tutti i già programmati piani dell’oscuro
signore di Nug-Rhor e a rimettere lui nella vostra stessa posizione,
scalzandolo da quella precedente di vantaggio che egli s’era
arbitrariamente creato. Ma ora va, Ildaran! Non indugiamo oltre,
questa è l’ora in cui le parole non contano più nulla». Non
appena raggiunse Naroviel, il Gran Cavaliere mandò in ogni angolo
delle Verdi Terre i suoi più fidati collaboratori, con lo scopo di
cercare, anche fra le più sperdute contrade, tutte le fanciulle i
cui dati somatici e l’età corrispondessero alla descrizione fatta
dal Sommo Indovino. L’ordine era di portarle immediatamente nella
capitale. Quando io partii da Naroviel, tutti i messi avevano
fatto ritorno. Nelle intense ricerche, portate avanti con frenetica
celerità, ma capillarmente, siamo riusciti a rintracciare dodici
ragazze. Ognuna di esse, per la sua bellezza, potrebbe aspirare alla
posizione di regina. Le giovani furono subito alloggiate in
un palazzo della città, tenuto segreto a tutti e posto sotto
strettissima sorveglianza, ma come dovemmo amaramente constatare,
tutti gli accorgimenti attuati non servirono a nulla. Il loro arrivo
e il nascondiglio non erano sfuggiti agli occhi degli astutissimi
Smull. Raggiunta la tetra Nug-Rhor, di ritorno da Altetorri dei
Venti, Orfur aveva infatti sguinzagliato, a sua volta, i suoi
terribili emissari. L'ordine ricevuto da quei portatori di morte, era
quello di sterminare tutte le fanciulle da noi cercate, trovate e
tenute nascoste.
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Approfittando delle
notti senza luna, gli Smull si sparsero un po’ ovunque. Alcuni di
essi si insinuarono addirittura dentro Naroviel, dove agiscono
tuttora invisibili e inafferrabili. Tramando nel buio, come è loro
consuetudine, quei malvagi esseri vennero a conoscenza del rifugio
scelto per le ragazze. Erano trascorsi solo pochi giorni dall’arrivo
delle giovani donne a Naroviel, quando essi uscirono dall’oscurità
e vennero per eseguire il loro mandato. Fu un vero miracolo se quei
demoni non conclusero con successo il loro piano. Dopo aver
sopraffatto le sentinelle, entrarono nella camera dove solitamente
dormivano le giovani e con furia omicida abbatterono le loro spade
sui letti e su tutto ciò che si trovarono davanti. Fortuna
volle che quella sera, angustiato da un oscuro presentimento,
qualcuno avesse fatto trasferire le giovani in una soffitta del
palazzo. Quando gli Smull s’accorsero d’essere stati
beffati, continuarono tenaci la loro ricerca. Stavano già forzando
l’uscio del sotto tetto, quando ne vennero distolti dal grido
d’allarme di una guardia che aveva scoperto i corpi senza vita dei
compagni. Fu solo allora che dovettero abbandonare l'impresa e
ritirarsi in tutta fretta, sfiorando quasi la preda che stava ormai
cadendo sotto i loro artigli. Ovviamente le ragazze furono subito
condotte in un altro luogo ma, dopo quanto era successo, giustamente
il Gran Cavaliere ritenne troppo insicura la loro permanenza in
città. Da dentro le mura sarebbe stato più facile controllare un
esercito di assedianti che tenere lontano quegli invisibili esseri
della notte. Appariva chiaro, a quel punto, che non vi era
fortezza o luogo segreto in cui essi non fossero stati in grado di
penetrare. Alla svelta, fu perciò elaborato un nuovo piano, più
adeguato alla sicurezza delle giovani donne. Tra affannate
consultazioni e continui ripensamenti, il Gran Cavaliere giunse alla
conclusione che il luogo migliore per proteggere le ragazze fosse una
sconosciuta, insospettabile località, lontana dalla capitale. Per
farla breve, venne scelto il vostro borgo. Riteniamo che
Valdelprato, protetto alle spalle da una catena di monti, lasciato
fuori dalle vie di comunicazione più importanti, se non l’ideale,
risulti almeno il più adatto rifugio per il nostro scopo.
Naturalmente è presupposto categorico che lo spostamento e la
permanenza al villaggio delle giovani rimanga segreto e
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sconosciuto a tutti. Da
qui l’esigenza assoluta che non una parola trapeli di quanto vi ho
rivelato. Questa è dunque la richiesta di Ildaran: con la
massima celerità e nella più assoluta segretezza, alcuni di voi
dovranno recarsi a Naroviel. Una volta raggiunta la capitale, vi
saranno affidate le fanciulle perché vengano condotte qui, dove voi
le alloggerete. Se mi chiedete fino a quando, vi rispondo subito che
non siamo ancora in grado di prevederlo. So solamente che nessun
estraneo, nessun occhio indiscreto, nessuno insomma le dovrà mai né
vedere né sentire e nemmeno supporre neanche lontanamente, che
qualcuno si nasconda nel vostro villaggio». Il Viandante tacque
per qualche istante; il tempo necessario per gettare un'occhiata
alle facce allibite dei primi tre o quattro uomini che gli stavano
davanti. Poi riprese: «Leggo sui vostri volti, oltre allo
smarrimento, la sensazione che questo piano rasenti l’assurdo.
Forse una prima valutazione potrebbe farlo sembrare tale, ma in
effetti, se ci pensate bene, dovete ammettere anche voi che non è
poi così folle. Posto fuori discussione che a Naroviel le fanciulle
non possono più rimanere, è conseguenza logica la necessità di
portarle altrove. Fin qui penso non ci sia nulla da eccepire. Ma un
simile delicatissimo cambiamento di luogo in quali termini deve
venire scelto e come può essere attuato per avere le maggiori
garanzie di sicurezza? Qualora le ragazze venissero scortate al loro
nuovo rifugio da un gruppo numeroso di guerrieri, gli Smull sarebbero
certamente in grado di controllarne lo spostamento, scoprendo di
conseguenza la località prescelta, nel qual caso ci ritroveremmo
alla loro mercé. Un esiguo gruppetto di persone invece può molto
più facilmente, con un po’ di fortuna e una buona dose di coraggio
e di destrezza, sgusciare via inosservato e far sparire da sotto il
naso di quelle malefiche creature la preda tenuta d’occhio
costantemente. Infine, uno sperduto villaggio è l’ultimo luogo a
essere preso in considerazione quale segreta dimora delle dodici
fanciulle. Noi crediamo che una simile mossa, proprio per la sua
imprevedibilità, possa ritenersi l’unica valida alternativa
all’attuale situazione. Ora conoscete tutto quanto dovevate
conoscere. Quale sia la vostra risposta e come intendiate agire è
necessario concordarlo prima di uscire da questa stanza». Dopo
la rapida, categorica conclusione del Viandante, che non concedeva
alternative, l’assemblea parve non destarsi
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dall’allibito mutismo
in cui era sprofondata. Gli uomini, letteralmente frastornati,
sembravano non essere in grado di riprendersi. Una pesante randellata
in testa ad ognuno non avrebbe sortito l’effetto che una tale
sequenza di notizie, con relativa allucinante conclusione, aveva
provocato nella loro mente. Nessuno s’era accorto che già da
parecchio tempo le inerti pipe, penzolanti dalle semiaperte bocche,
non emettevano più il minimo accenno di fumo. Ma chi poteva pensare
alla pipa in quei momenti! Ben altre preoccupazioni frastornavano il
cervello di quegli allibiti abitanti di Valdelprato. Avevano atteso
con impazienza di conoscere le notizie che il Viandante avrebbe
scodellato. Speravano fossero di un certo interesse, sentendo il
bisogno di riempire la altrimenti noiosa serata. E ora che le avevano
conosciute erano rimasti di sasso. Così interessati, così sicuri di
se stessi solo poche ore prima, ora si sentivano svuotati di ogni
capacità di reazione, in completa balia delle sconvolgenti
rivelazioni. Piano piano qualcuno dette il primo, impacciato
segno di ripresa, uscendo dal torpore che sembrava aver paralizzato
tutti quanti sui propri scanni. Qua e là alcuni timidi mormorii
fecero capire che l’assemblea stava reagendo; con difficoltà, ma
reagiva. Finalmente, in qualità di capo villaggio, Romidor sentì il
dovere di farsi forza e di alzarsi per dire la sua, che, in
definitiva altro non era che una semplice domanda. «Quando si
dovrebbe partire?» chiese con voce incerta. «Domani all’alba,
dovrete già essere in cammino. - Rispose risoluto il messaggero. -
Ma sarà necessario stabilire prima quali uomini andranno a
Naroviel». Dopo un’ulteriore pausa, durante la quale la
stanza cadde in un nuovo silenzio, il Viandante riprese: «Non
abbiate timore! Almeno non più di quanto è necessario. Una volta
giunti in città, riceverete tutte le opportune istruzioni e ogni
possibile aiuto per ritornare sani e salvi al vostro villaggio... E
poi gli Smull non sono esseri soprannaturali né invincibili. E
ricordate: la loro debolezza apparirà tanto più evidente quanto
maggiore sarà il coraggio da voi dimostrato. Non dimenticate da
ultimo le parole del Supremo Indovino: «... Sarà con i tuoi nei
momenti difficili, colui che sta assimilando i miei
poteri. Sappiate dunque agire e reagire da autentici uomini. Il Gran
Cavaliere pone in voi tutta la sua fiducia. Consegnando nelle vostre
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mani un così prezioso
tesoro da custodire, egli esprime a voi il massimo onore che un uomo
possa dare ad altri uomini. Affrontate con determinazione questo
incarico e un giorno ne sarete ripagati in misura cento volte
maggiore». La risposta non si fece attendere. «Mio fratello
ed io siamo pronti a partire per Naroviel e non saranno né Smull né
chiunque altro a farci desistere dal nostro proposito.» In mezzo
all’ancora tiepido uditorio s’era alzato, a pronunciare tutto
d’un fiato queste accalorate parole, il giovane
Teagal. Non aveva che ventitré anni l’aitante giovanotto,
ma era dotato di notevole maturità. Viveva con la vecchia madre e i
molti fratelli in un casolare fuori del villaggio, proprio a ridosso
dei primi alberi del bosco. Si guadagnava da vivere tagliando legna,
allevando pecore e vendendo l’abbondante cacciagione che si
procurava con l’infallibile suo arco. Lui e il fratello minore
Uclioper infatti erano conosciutissimi per la loro maestria nell’uso
di quell’arma. L’entusiasmo delle parole del giovane sembrò
far breccia negli animi degli altri e più di tutti in quello di
Alberteior, o Teior, come in paese erano soliti chiamare il
mugnaio. Fino a quel momento, più per un senso d’impaccio che
per altro, l’imponente uomo s’era trattenuto dall’alzarsi, ma
la voglia di farlo e l’irrequietezza per non riuscire a decidersi
lo stavano facendo ciondolare avanti e indietro su quel suo sgabello
troppo piccolo per sostenere una così robusta mole. Avrebbe voluto
saltare in piedi e dare la sua adesione per primo, ma temeva, con il
suo goffo modo di esprimersi, di suscitare nei compagni la solita
ilarità, anziché il dovuto consenso. L’entusiasmo di Teagal finì
per fargli accantonare gli indugi.
«Mmausate con
parsimonia la farina che maatenete nelle madie, amici miei, -disse-
perché dovrà mmabastarvi fino a quando avrò fatto ritorno da
Naroviel.» Non c’era modo più chiaro per far capire che
all’indomani, alla partenza, ci sarebbe stato anche lui. A quel
punto Romidor, data la sua posizione al villaggio, non poteva più
esimersi dal dire la sua che, ovviamente era la propria
disponibilità. Tanto più che la compagnia dell’amico Teior gli
prometteva molta maggior sicurezza e fiducia nell’affrontare gli
imprevisti della pericolosa spedizione. Abilissimo poi nel
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maneggiare qualsiasi
tipo di attrezzi da lavoro, egli confidava di trovarsi altrettanto a
suo agio, in caso di necessità, nel disimpegno con le
armi. Nonostante le generose adesioni, rimaneva aperto un
problema: i quattro uomini non s’erano praticamente mai allontanati
dal villaggio. Nelle rarissime occasioni in cui l’avevano fatto,
erano giunti sì e no poco oltre Pecorviel o ad Acquaferrosa appena.
Veniva spontaneo presumere quindi che la conoscenza del percorso da
compiere presentasse forti lacune. In quella determinata circostanza
invece, il sapersi orientare con sicurezza appariva necessità di
primaria importanza, soprattutto qualora fossero stati costretti, da
improvvisi pericoli o da contrattempi, a cambiare all’ultimo
momento direzione e seguire imprevisti sentieri. Oltretutto, dovendo
compiere il tragitto con la più assoluta segretezza, avrebbero
dovuto sbrigarsela interamente da soli, in qualsiasi frangente, senza
alcun aiuto da parte di altri. Un tale ostacolo venne però tolto
di mezzo dall’intervento di Stanovis, il mercante. Dedito da lungo
tempo a viaggi per affari, egli aveva trascorsa la sua esistenza più
a percorrere strade e sentieri da un luogo ad un altro che a calcare
il pavimento della propria abitazione. Conosceva molto bene anche le
vie meno frequentate. Quelle poi che portavano alla capitale non
avevano per lui alcun segreto. «Per l’appunto uno dei
prossimi giorni avrei dovuto recarmi a Naroviel. — Disse prendendo
la parola. — Assieme alla merce potrei portare anche voi.» La
quadratura del cerchio a quel punto era fatta. I volontari erano ben
assortiti, autosufficienti in tutto e in cinque. Al Viandante il
numero parve sufficiente. Un gruppo maggiore avrebbe causato più
problemi che vantaggi. Non restava che fissare l’ora della partenza
e alcuni altri dettagli. Poche battute e tutto fu ben definito.
«Andate sicuri!
-Concluse il Viandante.- Il vostro coraggio vi aiuterà a compiere
con successo l' impresa. Vorrei esservi accanto anche fisicamente.
Purtroppo un altro impegno, non meno pressante del vostro, mi
attende. Non appena riuscirò a portarlo a termine, sarò di nuovo in
mezzo a voi. E ora potete far ritorno ai vostri casolari. Sopra di
noi si stanno addensando nere nubi apportatrici di terribili
tempeste, non
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lo dimenticate, ma non
dimenticate nemmeno che, sacrificandoci e lottando con vigore,
usciremo vittoriosi da questa tormentata
situazione.» Senza aggiungere altro,
l’Uomo di Naroviel si accomiatò, prima di uscire dalla stanza con
lo stesso passo deciso con cui si era presentato. Dove fosse diretto,
nessuno lo sapeva, ma quella sua andatura così determinata diceva
chiaramente che il compito al quale era chiamato richiedeva estrema
urgenza. Era ormai notte fonda quando gli uomini di Valdelprato,
esaurita la gran mole di commenti, decisero di avviarsi verso le loro
abitazioni. Ognuno di essi, strada facendo, sembrava totalmente
immerso in angosciate considerazioni personali. L’inevitabile,
continuo richiamo alla mente di tutto ciò che di tremendo e
d’importante era stato udito nella locanda, suscitava ancora
costernazione e paura; intensa paura. A quel punto, se ciò che
aveva rivelato il Viandante corrispondeva al vero, e di questo non
c’era da dubitare, ci si doveva attendere da un giorno all’altro
l’arrivo di un vero e proprio cataclisma. E quale fosse la portata
di inevitabili eventi, nessuno sarebbe stato in grado di
immaginare. La pace e la tranquillità di un’esistenza a volte
magari monotona, ma sostanzialmente serena, stavano per abbandonare
le contrade delle Verdi Terre. Quale altra vita, se di vita si
sarebbe ancora potuto parlare, bisognava tenersi pronti a sostenere?
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ah bene che ci sei riuscito..condivido sul mio blog
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